mercoledì 23 maggio 2012

Turnover (una favola per Tondelli e per me)

La bambola piccola e dura
aveva lunghi capelli vivi,
le si annodavano alla gola
quando non sapeva parlare,
le si intrecciavano alle braccia
quando non poteva toccare.

Cose che non vuoi provare perché non sai gestirle.

Il bambino grande e delicato
aveva i capelli sugli occhi,
per guardare senza essere visto
i bambini con cui non sapeva parlare,
le parole gli avvolgevano le braccia
impedendogli di toccare.

Non per la malattia ma per la paura di essere infettivi.

La bambola e il bambino
si erano incontrati in un gioco,
con le mani che non si potevano toccare
si regalavano le parole che non sapevano dire,
ogni giorno una in più
dando corpo alla reciproca assenza.

Sottrarsi all'altro per timore di ferirlo e per questo ferirlo.

La bambola sentiva di avere un'esistenza
fittizia negli occhi coperti del bambino,
se lo ripeteva ogni giorno, per questo aveva deciso
d'ignorare l'intuito e azzerare la sapienza,
non voleva violare la loro intima estraneità
e rispettava il silenzio parlante del bambino.

Fare delle parole carne perché possano dire quello che non dicono.

Ma il giorno in cui arrivò si scoprì impreparata
di fronte alla noia del bambino educato,
che non diceva più il suo silenzio
(c'erano giochi nuovi da giocare)
ma restava gentile giocando svogliato,
tristemente delicato nella paura di romperla.

I tempi contratti non s'interessano alla frequenza.

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